Nota dell'autrice:
Questa ff è nata come seguito di “Luci ed Ombre del mio Amore”: per questo troverete, specialmente all’inizio della narrazione, molti riferimenti o frasi inerenti alla suddetta ff. Forse è un po’ strano come seguito, visto che la trama è molto più lunga e intrinseca; spero comunque che vi piaccia. Voglio ringraziare anticipamene tutti coloro che mi hanno dato una mano e che mi hanno appoggiato durante la creazione di questa ff: ringrazio innanzi tutto Alex per la sua gentilezza e disponibilità, Silvia, Laura, Cinzia e per ultima, ma non meno importante, mia sorellina Federica che mi ha rallegrato nei momenti in cui mi ‘bloccavo’; bando alle ciance: vi lascio alla lettura.
 
Fantasmi dal Passato
V° parte - finale
 
 
La felicità che provò Nanny nel vedere Oscar fu immensa. Le andò incontro senza neanche il tempo di farla parlare, l’abbracciò e le chiese, con amorevole preoccupazione, come stava e come mai aveva deciso di prolungare la vacanza.
“Sto bene, stai tranquilla. Sono rimasta in Normandia più tempo del previsto perché dovevo prendere una pausa, dovevo riflettere su cose importanti” pronunciò queste ultime parole cercando lo sguardo di André che, nel frattempo, guardava divertito la scena senza riuscire a comprendere appieno le sue parole.
Oscar entrò nel palazzo ispirando a fondo: gli odori familiari, il profumo della casa; scoprì che era bellissimo ritornare dopo tanto tempo nella propria casa, nei propri affetti.

Dopo aver fatto sistemare le valigie ad alcune cameriere, Oscar si diresse dal padre; Lucille le aveva detto che il Generale doveva parlare urgentemente.
“Salve padre”
“Salve Oscar, come stai?”
“Bene, grazie. Lucille mi ha detto che avevi urgenza di parlarmi”.
“Si. Ecco, vedi, è un po’ difficile per me affrontare l’argomento di cui sto per parlarti ma… siediti”.
Oscar  si chiedeva di cosa volesse parlarle suo padre: doveva essere qualcosa di veramente importante a giudicare dalla sua espressione.
“Oscar, tu hai trentadue anni ormai…”
“Scusate padre, vi pregherei di venire al dunque”
“Hai ragione Oscar, scusami. Circa due settimane fa il Tenente Girodel è venuto a chiedere la tua mano”
“Cosa?!?” disse alzandosi improvvisamente dalla poltrona.
“Oscar aspetta! Non gli ho dato nessuna risposta…”
“…”
“… perché voglio che sia tu a decidere della tua vita, Oscar; non voglio importi una mia scelta, come ho già fatto tanto tempo fa…”
“Vi ringrazio padre, ma io non posso accettare una proposta di matrimonio; non era prestabilito che io mi sposassi e poi… io…”
Il Generale l’ascoltava attento
“… io… niente. Padre, mi dispiace deludervi ancora, ma non posso andare contro il mio cuore”.
Uscì dalla stanza. Il Generale Jarjayes si aspettava una reazione del genere; forse Oscar aveva ragione: era cresciuta come un maschio e poi, all’improvviso, non poteva completamente cambiare la sua vita. Era normale che gli avesse risposto in quel modo dopotutto.
 

Oscar si era svegliata presto quella mattina. Erano passati cinque giorni da quando era tornata a casa e quel giorno si era recata presto nella caserma, dove c’era il suo nuovo plotone. Dopo aver firmato alcuni incartamenti, si era recata nelle camerate per fare visita ai suoi uomini: erano tutti uomini del popolo, la maggior parte di loro rozzi e attaccabrighe. Lei non ne era rimasta stupita: immaginava che le sarebbero capitati soldati del genere, proprio per questo si era fatta trasferire ad altro incarico, per dimostrare a se stessa di poter vivere come un soldato, cosa che da qualche tempo le veniva assai difficile. Mentre era nel suo ufficio, il Colonnello D’Agout le aveva detto che c’era in caserma una visita per lei: appena uscita nel cortile, si ritrovò davanti il Comandante dei Soldati della Guardia: Girodel.
“Buongiorno Madamigella”
“Buongiorno Girodel”
“Come va col vostro nuovo incarico?”
“Per ora tutto bene, anche se è ancora il primo giorno”
“Madamigella Oscar, vorrei parlarvi di qualcosa di importante”
“Girodel scusatemi ma ora sono proprio impegnata; se volete, potete tornare a Palazzo Jarjayes questo pomeriggio”.
“Va bene, allora a più tardi. Arrivederci”
“Arrivederci”.
 

Oscar stava suonando il pianoforte; una melodia di Bach, una melodia dolce e nello stesso tempo triste, molto triste. Oscar suonava da una vita pur avendo ricevuto un’educazione maschile; suonava spesso quando era agitata o nervosa o semplicemente quando le andava. La dolce melodia fu interrotta dal bussare della porta:
“Oscar, sono io” disse Nanny “E’ venuto il tenente Girodel”
“Si, scendo subito”.
André aveva capito che c’era ‘qualcosa’ nell’aria, qualcosa che lui non riusciva a comprendere; come mai Girodel era ritornato a Palazzo? Il Generale gli aveva detto del rifiuto di Oscar; ma allora, perché era tornato? Che Oscar avesse cambiato idea? Si tormentava al pensiero che lei potesse sposarsi con un altro, stare tra le braccia di un altro che non era lui.

Oscar e Girodel passeggiavano nel giardino di Palazzo Jarjayes.
“Madamigella, voi sapete della mia proposta… io, non sono venuto qui per cercare di convincervi, anche se lo vorrei tanto, perché so che siete una donna coerente con le proprie decisioni. Volevo solo sapere perché avete rifiutato la mia proposta: non vi piaccio forse?”
“No Girodel, non è per questo. Vedete, io non sono stata cresciuta per sposarmi e avere dei figli, anche se a volte penso che avrei fatto meglio a crescere come una donna normale; e poi io non vi amo: vi rispetto e vi voglio bene come un caro amico, ma niente di più”
“Scusate la mia indiscrezione, ma… il vostro cuore è già occupato, vero?”
“Come…? Cosa?”
“Madamigella” disse con un sorriso amaro “voi siete innamorata. Si vede dai vostri occhi che brillano quando vi è accanto”
“!”
“Scusate, non avrei dovuto dirlo. S’è fatto tardi, è ora di andare. Arrivederci Oscar François De Jarjayes”
« Arri... vederci... »
Girodel si era subito voltato : non voleva che lo vedesse piangere...

Durante la cena il Generale aveva chiesto ad Oscar a proposito della visita di Girodel; lei l’aveva liquidato con una breve risposta dicendogli che voleva solo parlarle. Suo padre, comprendendo appieno ‘l’argomento’, non aggiunse altro.
André sembrava distante, assorto in pensieri che a lei non era permesso di conoscere: non aveva spiccicato una parola per tutto il pomeriggio, ed era sempre stato per conto suo. La rattristava: forse André non l’amava, come qualche volta aveva creduto, sperato; probabilmente ciò che era successo era stato veramente a causa dell’alcool.
André stava pensando ad una cosa molto importante: Alain, una volta, gli aveva detto che era arruolato tra i Soldati della Guardia parigina; sicuramente si trattava dello stesso reggimento di Oscar visto che gli aveva detto che il Comandante che avevano prima era stato trasferito. Gli venne un’idea:
“Nonna, sto uscendo; non preoccuparti, non farò tardi”
“Ma André! Dove…?”
Oscar si stupì dell’improvvisa uscita di André:
“Chissà, magari ha un impegno… un appuntamento”.
Terribilmente turbata prese una bottiglia di brandy, un bicchiere e si sedette sul divano.

Nel frattempo André entrava di fretta nella locanda solitamente frequentata dal suo amico. Fuori pioveva ma per la fretta non aveva fatto in tempo di prendere una carrozza e così aveva cavalcato per circa mezz’ora sotto la pioggia incessante. Chiese a Philippe dove fosse Alain; l’uomo gli indicò un tavolo non poco distante.
“Ciao Alain, ho una cosa importante da chiederti…”

Oscar, seduta sul divano vicino al caminetto, aveva deciso di ubriacarsi: un modo per evitare di pensare, tutto sommato; ma poi aveva smesso, visto che l’indomani avrebbe dovuto svegliarsi presto e non voleva avere mal di testa e nausea per tutto il giorno. Prima di andare a dormire, Nanny le aveva chiesto se aveva bisogno di qualcosa, poi andò a dormire anche lei. Era rimasta da sola. Ripensò agli strani avvenimenti che le erano accaduti in Normandia: il quadro e le visioni di lei e André bambini. La cosa strana era che appena aveva realizzato di amare André era tutto tornato alla normalità. Rifletteva su questo, quando il portone si aprì. André entrò piano attraversando il lungo corridoio; fu attirato da una tenue luce. Entrò piano e si vide davanti Oscar, di spalle:
“Sei ancora qui Oscar? Coma mai non sei a letto?”
“Potrei dire la stessa cosa di te, André”
L’uomo rimase in silenzio e si avvicinò al caminetto.
“Ti dispiace se rimango un po’ qui? Il tempo di asciugarmi un po’ gli abiti…” disse toccando i vestiti fradici.
“Si”.
Si tolse il mantello e la giacca e li sistemò vicino il caminetto; in piedi, di fronte al fuoco, era avvolto dal caldo tepore.
“Come mai sei uscito con così tanta fretta e per di più con questo tempo?”
“Mi sono ricordato improvvisamente di una cosa importante che dovevo fare”
“Che genere di cosa?”
“Ehm… niente di particolare, dovevo parlare solo con un amico…”
“Un amico eh?!”
Si alzò stizzita dal divano
“Su, avanti perché non dici la verità?” gridò.
“Ma… cosa…?”
“Perché non vuoi dirmi la verità? Avevi un appuntamento, non è così?!”
André, mantenendosi calmo, si alzò dal divano, diretto verso l’uscita della stanza: come poteva venirle in mente che lui potesse frequentare un’altra donna?
“Ehi! Dove stai andando?!” continuò lei.
“Scusami Oscar, è tardi”.
Prima di attraversare la soglia aggiunse:
“Non è possibile Oscar, come hai potuto pensare che io potessi stare con un’altra. Allora non hai capito nulla…”.
Si allontanò.
Oscar nel giro di pochi secondi realizzò ogni cosa: quella sera, quei fantasmi in Normandia, tutto voleva portarla a lui; André l’amava e adesso lo stava perdendo per sempre.
“André!”
Lui tornò indietro
“Che c’è Oscar?”
“Ti prego, non andare via”.
Per un istante che sembrò una vita André rimase immobile; il cuore aveva arrestato il suo battito per poi aumentare freneticamente. Lentamente si mosse verso Oscar che stava immobile, aspettando una sua reazione. A metà strada fra lei e la porta si fermò: lei gli sorrise, semplicemente. I suoi dubbi svanirono: Oscar… la sua Oscar. Corse una distanza infinita; la baciò furiosamente, appassionatamente (1)  mentre le sue mani la tenevano stretta. Lei gli si aggrappò al collo rispondendo a quel bacio da troppo tempo desiderato. Senza staccarsi caddero sul divano. I loro corpi si avvicinavano, si muovevano sempre di più mentre tutto quello che c’era intorno a loro sembrava svanire. André si staccò un attimo da lei sussurrandole:
“Vuoi stare… con me…?”.
Lei lo guardò: gli occhi verdi di lui brillavano per la felicità e per la gioia che stava provando; capì che la felicità gli era dinanzi, la felicità completa che aveva sempre desiderato. Non gli rispose ma lo baciò. André si alzò prendendola per mano; uscirono dalla stanza avvinghiati. Salirono al piano di sopra: André la prese in braccio e la baciò di nuovo. Aprì la porta della sua camera e entrato, l’adagiò sul letto: pochi minuti ancora… Si distese si di lei e continuò a baciarla accarezzando febbrilmente il suo corpo mentre lei lo stringeva a sé, aggrappandosi alla sua schiena.

Ognuno percorse l’altro di baci e di carezze finché i loro corpi presero a muoversi all’unisono, animati da una forza misteriosa, dal desiderio di stare insieme e di volersi bene reciprocamente, per sempre.

Un uomo e una donna si amano.
I ricordi, i fantasmi del passato, avevano fatto comprendere che l’amore, la felicità, non sta nelle cose irraggiungibile, nei desideri impossibili (2) , ma dove meno ce l’aspettiamo.

“Chiunque voi siate grazie, vi ringrazio con tutto il cuore”
“Con chi stai parlando, Oscar?”
“No, niente André, niente…” disse abbracciandolo.

Fine
 

(1) Come Richard Gere ne “Il primo cavaliere”.
(2) Riferimento a Fersen.

 
 

                                                                                                                       Cetty
 

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